Laboratori teatrali_un pensiero

I percorsi artistici si presentano come vie. Talvolta queste vie sono attraversate da più di una persona. Altre vie sono percorse in solitudine. Ma queste vie si intersecano, per poi scivolare nuovamente lungo una propria forma.

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La forma del laboratorio, e intendo laboratorio artistico/teatrale, oltre ad essere parte dei “mestieri” che l’essere umano può esercitare, è una forma che unisce la possibilità di trasferire le proprie conoscenze (e, dall’altra parte, di apprenderle) con la possibilità di sperimentare in forma collettiva. Perché l’insegnamento incontra le persone ed ogni persona, a suo modo, interpreta e modifica le tracce disseminate lungo il lavoro.

Chi insegna dovrebbe essere in grado di stimolare autonomia e collaborazione e non dipendenza. Questo il mio punto di vista. Un punto di vista maturato negli anni con un lavoro fatto di dedizione, incontri, tenacia, gioie e cruciali delusioni. Ecco perché il percorso dovrebbe essere costante, serio (i bambini quando giocano fanno sul serio) e allo stesso tempo, fonte di gioia. La gioia piccola che ci permette di stare al mondo anche se pieno di storture.

Un percorso costante che deve essere in grado di trovare una fine/inizio in cui maestro e allievo, con rispetto, iniziano a prendere una propria strada o collaborano assieme.

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Perché parlo di gioia? Perché c’è chi ancora sostiene che il teatro sia un luogo di sofferenza e di messa in mostra del proprio dolore. Dove l’attrice/attore, attraverso un lavoro di sacrificio e patimento espone sé e ciò che mette in scena. Sebbene ci sia anche questo -non siam fatti di sola allegria- credo che il piacere e la gioia siano ancora due elementi imprescindibili.

“In una vita piena di angosce, paure, tragedie,
dolori-
e oggi, mi sembra, di forsennatezza
– e anche, finalmente, di preoccupazione per
la specie,
il ridere felice che nasce dall’essere ritrovati,
dall’esperimento/ritrovamento
nato dal ballare dei fiori interni,
dalla cura praticata come amore,
mi sembra il traguardo di ogni ora-
e non solo del teatro:
lo dico per me e per tutti, uomini, bestie e
piante.
(da “Il tremito_Che cos’è la poesia?” di Giuliano Scabia)

Giuliano Scabia non è certo uno sprovveduto. Quando parla di gioia, non intende rimuovere ciò che è inquietudine o angoscia o paura (che risiedono in ognuno di noi) ma pone l’accento su di una pratica teatrale che rischia di divenire una trappola autoreferenziale. Non userò il termine bellezza in questo contesto, anche se la tentazione è grande. Tentazione nel dire che se quel dolore, quella angoscia o quella paura sono trasfigurati attraverso la bellezza della forma artistica, per quanto il dolore possa essere ineliminabile, potrà essere attraversato o quanto meno guardato.

Tra le righe di questo lungo pensiero c’è il motivo, o i motivi, di mettere in moto i tre laboratori di questo anno. L’uno diverso dall’altro, perché diverse saranno le persone e perché i luoghi richiedono diverse torsioni.

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I laboratori (“L’Immagine sonora” a Bari, “A man nude” a Bitonto, “Le voci del teatro” ad Adelfia) hanno per me sensi e significati diversi. “L’immagine sonora” vorrebbe continuare una via, iniziata con amici e persone conosciute che hanno creduto nel progetto. “A mani nude” è stata una proposta che ho accolto per mestiere, curiosità e desiderio di conoscenza. “Le voci del teatro” è un desiderio che ho da un paio di anni, di portare qualcosa che ritengo importante, nel paese dove sono cresciuta. Paese che non sono mai riuscita ad amare…e che quindi cerco di amare in questo modo.

La possibilità che le cose non prendano piede è ovviamente alta. Ma ciò che mi ha sempre mosso è il desiderio e l’atto del “tentare” la vita. Cadiamo tante volte, ci rialzeremo.

Quando sono stata, con la compagnia con cui lavoravo, in luoghi di guerra o di conflitto come la Palestina o l’Iraq, ho conosciuto una gioia grandissima, ossia quella della necessità del fare teatro, come condivisione di uno spazio/tempo comune dal quale far nascere forme nuove, assieme. Necessario come necessario era il teatro quando era un rito condiviso dalla comunità.

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Ho visto molto superfluo e, in molte cose che oggi vedo, non riesco a riconoscermi. Allo stesso tempo non ritengo vera l’affermazione che ci sia nulla per cui valga la pena essere vivi. Ci sono molti artisti, in tutti i campi, che portano avanti un lavoro bellissimo. Sia tra coloro che frequentano circuiti ufficiali sia in tutta quella vita lontana dai grandi nomi e dai grandi schermi.
Una vita che pullula, con un tremito, che quando c’è, è ancora capace di farsi sentire.

Immagine Sonora, https://www.facebook.com/events/304394049935431/

A mani nude, https://www.facebook.com/events/175756266164030/

Le voci del teatro, https://www.facebook.com/events/342109406137751/

2 pensieri su “Laboratori teatrali_un pensiero

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