Stamane esco dalla non più mia casa di Castromediano e qualcosa comincia a bruciare, bruciarmi dentro letteralmente, un fuoco che trasuda dalla pelle, dalla bocca, persino dagli occhi. Una sorta di delirio camminante. Non succede spesso ma accade. Accade di percorrere delle strade a noi note, familiari, fatte decine e decine di volte. Accade di vederle distorte. O forse più vive del solito. Gli archi, le pietre, i gufi di ceramica, le campane di terracotta, le statue di cartapesta. Le cantine che si possono scorgere come voragini sotto i piano terra, i commercianti davanti alle porte, le targhe dei dottori, il fruttivendolo solo, la gente alla posta, lo spiazzo dove il vento ha sradicato l’albero, le figure antropomorfe che sostengono i balconi, odori, odori di cucina indiana, odori di pelle sudata, tutto amplificato. E sudo anche io, mi sento svenire, venire meno come se tutto mi stesse entrando dentro. Con una piccola invocazione chiedo che tutto questo finisca, prego che abbia fine questa vertigine e qualcuno mi ascolta. Una ragazza, piccola da tenere in una mano, mi dice: “hai lo zaino aperto”. Posso finalmente respirare.
Ultima visione, un cane che sorride all’angolo di Porta Napoli, ci guardiamo occhi negli occhi, e girandogli attorno sollevata, mi accorgo che ha tre zampe.
Cosa succede? Cosa accade? Credo che questa vertigine abbia a che fare con una perdita di senso e di sensi. O forse è la lettura del vangelo che si sta sedimentando in questi giorni nella casa che si svuota.
Questo brano è quello che continua a tintinnarmi nella testa: [41]Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: [42]«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. [43]Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; [44]abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata», dal vangelo di Luca.
E penso a Gerusalemme oggi, ad una delle città sacre, dove la violenza ha da troppo tempo fatto casa. L’esegesi di questo testo ha a che fare sia con questioni religiose che con questioni prettamente storiche. Ma non è luogo questo, né ho le competenze, per scrivere qui una interpretazione del passo. Eppure qualcosa continua a bruciare.
Grazie alla mia scelta teatrale, ho avuto il privilegio di vedere Gerusalemme, di sentirne gli odori e di provare la vertigine delle sue strade, dei suoi check point, delle kippāh bianche vicino al muro del pianto…ma di quale pianto essi piangono? Quale il pianto che oggi piango?
A Gerusalemme il turismo religioso domina sovrano, e le varie professioni religiose hanno dato a questi luoghi sensi e significati differenti che, in alcuni casi, non hanno saputo convivere, non hanno saputo condividere i luoghi. La spianata delle Moschee, cara a Omar, nella sua memoria e nella sua storia personale, carnale, esiste in questa Gerusalemme violata, davanti a cui Cristo piange. In un luogo dove oggi si contende il diritto esclusivo della preghiera per la propria fede.
Perché non è possibile una Gerusalemme che accolga la moschea e la chiesa. Perché i bambini palestinesi dentro Gerusalemme devono vivere la povertà, devono provare cosa sia essere un cittadino di ultima classe o meglio un essere umano indesiderato. Perché dopo una certa età i fedeli musulmani non possono più avere accesso al luogo del loro culto. Perché in ognuno si nasconde un possibile nemico. Perché la verità della mia parola è della mia parola, non della tua.
Ma oggi è un giorno che deve bruciare, brucia nel delirio di una febbre interiore che deforma le cose.
Oggi è anche un giorno significativo perché torna Hamado dal Burchina Faso dove hanno appena consumato una rivolta. Dove i militari hanno preso “temporaneamente” il potere. E Hamado era lì, perché è la sua casa, o almeno una delle sue due case.
Ecco, questa febbre dei sensi che brucia, ha parole sconnesse, ha argomenti tra loro scollegati eppure di essi si nutre. Non sono credente e non ho mai amato una fede unica e indivisibile. Ma comprendo, ammetto che si possa credere in qualcosa.
Quel pianto di Cristo, lo considero nel suo aspetto umanamente pensabile, sensibile.
Tutto questo mentre il cane a tre zampe contempla l’arco di Porta Napoli, iniziando una conversazione silenziosa con le vecchie pietre che svettano verso un cielo, per ora, sfolgorante di luce.
..Più forte,più saggio,più vivo,più dinamico e più spirituale di ieri,questo il mio vantaggio, la mia riscossa ,Il percorso non è una passeggiata , ma alla fine avrò salvato la cosa più preziosa che la vita mi ha dato: me stesso. da: i miei scritti alla Casa.
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